Quale prete per quale messa?

di DON ALESSANDRO M. MINUTELLA

Emerge, con sempre più preoccupante evidenza, quale sia il prete “modello” della falsa chiesa bergogliana. Spiace dirlo, ma è un modello già precostruito, a causa di quegli orientamenti postconciliari che tanto hanno contribuito alla decostruzione del sacerdote, così come è sempre stato pensato nella Chiesa, soprattutto dopo il Concilio di Trento.

E in effetti, il numero più alto di sacerdoti divenuti santi, canonizzati cioè dalla Chiesa, è quello che va dalla stagione tridentina fino al Vaticano II. Il quale, però, è stato ribattezzato come il nuovo corso della storia della Chiesa, una sorta di perestrojka sovietica applicata al corpo mistico di Cristo.

Il Vaticano II è il superdogma, come soleva ripetere Ratzinger, dove gli si fa entrare di tutto, tranne ciò che realmente il Concilio ha pensato e detto. Soprattutto, proprio in ragione di questo carattere rivoluzionario, il Concilio è sembrato bisognoso di individuare nel modello tridentino dell’identità cattolica il nemico da combattere. Le categorie marxiste, quelle per le quali nel frattempo morivano preti e vescovi di mezzo mondo, venivano incredibilmente battezzate per riformare la Chiesa.

Trento aveva contribuito non poco alla ristrutturazione del ruolo e della missione del sacerdote, soprattutto per rispondere all’affronto di Lutero che, pur se prete, era giunto a negare il sacramento dell’Ordine.

Nel mondo protestante, ancora oggi, il prete è semplicemente un ufficio, non un’identità, un ruolo in favore della comunità, da svolgere a nome e per conto della comunità stessa, non un sigillo sacramentale indelebile.

Non è difficile constatare come, in definitiva, la visione del prete modernista, tutto impegnato nel sociale e radicalmente svestito del carattere di sacralità, ha un forte legame con la visione luterana, quella del pastore nominato dalla comunità, non scelto da Dio, e del pastore che svolge un ufficio, dunque che fa, non che è

Vi si può aggiungere il danno che ulteriormente ha aggiunto l’insieme di quelle teologie della liberazione o della prassi che, provenendo soprattutto dal mondo latinoamericano, di cui Bergoglio è veterano rappresentante, hanno ridotto il prete a manager sostitutivo dello Stato, in abiti secolari, con la disinvoltura che sembra più retaggio di Che Guevara che non incarnazione del Vangelo.

In Italia, la figura di don Ciotti spopola, mentre il prete in talare, anche quando colto ed elegante, aperto al dialogo, deve passare per quella di un uomo fuori dal tempo.

Ma c’è, su tutto un motivo più profondo per il quale l’identità del prete è oggi così svilita, dopo più di cinquant’anni dal Concilio.

Certo, basterebbero un paio di statistiche per dirla in modo diretto. Per esempio, negli anni ’70 e ’80 c’è stato il più alto tasso di abbandoni dell’abito, più di 150.000! I Seminari e i conventi si sono svuotati, e in modo sempre più preoccupante il prete risulta fragile, demotivato, bisognoso di supporto medico e psicologico. 

La ragione più profonda di questa crisi del prete – che la Santa Vergine aveva annunciato a Tre Fontane nell’apparizione a Bruno Cornacchiola, è quella profeticamente denunciata da un sempre più gigante mons. Lefebvre, e dico gigante, per il semplice fatto che più passano gli anni e meglio emerge il carisma illuminato e autenticamente profetico del presule francese, cui Benedetto XVI ha tolto la scomunica.

Egli infatti riteneva che, a partire dal cambiamento della messa, che nel frattempo (anche qui inspiegabilmente) passava da sacrificio di Cristo a pasto fraterno, il sacerdote si sarebbe soprannaturalmente indebolito.

Sembrava una dichiarazione un po’ fuori dall’ordine concreto delle cose, e invece ci ha azzeccato. La messa tradizionale consegna al sacerdote un’atmosfera che poi coinvolge tutta la sua esistenza. Mentre la messa di Paolo VI è fin troppo debole, il ruolo del prete si assomma a quello della comunità, proprio come voleva Lutero.

Io stesso sto sperimentando la ragionevolezza dell’affermazione di mons. Lefevbre. Quando un prete celebra la messa tradizionale è protetto, è più forte, pervengono maggiori motivazioni, per dirla in una parola ha la difesa giusta per sostenere l’affronto di satana e del mondo.

Non è appunto un caso che negli anni ’70, mentre si andava configurando la messa di Paolo VI, la crisi dei preti raggiungeva il suo massimo picco.

Dicevo che anch’io sperimento questa verità.

Da quando mi è stata “strappata” la Parrocchia, ho avuto nuove grazie. In fondo, se la falsa chiesa non avesse agito con così tanto odio nei miei confronti, non avrei avuto da Dio questo dono.

Celebro in latino, con il rito tradizionale che configura la messa come il sacrificio di Cristo sulla croce, senza quegli inutili inquinamenti luterani voluti dalla riforma conciliare e, soprattutto, nel Canone sono più che libero di nominare il vero papa, Benedetto XVI.

Il diavolo teme molto la messa. È ciò che gli ruba potere, che lo rende debole.

So di non pochi preti che, nelle loro canoniche, di nascosto dai vescovi, pazdaran del Concilio, celebrano spesso, alcuni poi ogni giorno, preferibilmente al mattino, la messa tradizionale. Come fossimo in un grande campo di concentramento, allargato e imbellito, la Chiesa, dove ciò che è e resta fino in fondo cattolico, rischia la pena di morte.

Circolava qualche tempo fa la notizia secondo cui un amico di vecchia data di Ratzinger, un teologo, di nome Ivo Dollinger, ha affermato che il terzo segreto di Fatima riguardava la crisi della Chiesa con la conseguente apostasia della fede, dovute a un falso Concilio e ad una falsa messa. Ovviamente la notizia è stata smentita dal Vaticano. 

E’ una direzione, quella della riscoperta della messa tradizionale, il cui merito va tutto a Benedetto XVI, inspiegabilmente tradito dai tradizionalisti che, invece, dovrebbero essergli grati. E’ vero che egli ha conservato anche l’altro rito, quello di Paolo VI, e ha parlato della ricchezza di entrambi. Si capisce che è una delle tante scelte strategiche per non urtare la comunione ecclesiale, ma intanto ha concesso facoltà a tutti i preti di dire la messa vera.

Poi verrà un successore, che saprà dirla fino in fondo la verità. Che cioè la messa è quella di sempre e che l’esperimento di Paolo VI va archiviato come fallimentare, anche solo a partire dalle statistiche.

La prossima mossa della falsa chiesa sarà presumibilmente l’abolizione del celibato. Già in Germania i vescovi potrebbero assumere questa decisione.

Non è poi così negativo per noi che la falsa chiesa corra verso la distruzione totale dell’identità cattolica. Funge come sorta di antivirus. Perché io ho deciso di rimanermene felicemente prete cattolico.